Un esame «salvato»

Roberto Beccantini27 settembre 2020

Era un esame, per la Juventus di Pirlo, ed è stato salvato, ammesso che il termine non forzi il segreto istruttorio, ma non superato. Doppietta di Veretout, doppietta di Cristiano: 2-2. C’era Morata, la quarta scelta. C’era Dzeko, la prima. La Roma di Fonseca, ben protetta, ha limitato i rischi e, fino al rosso di Rabiot (62’), sembrava padrona del campo. Si è mangiata tre gol: uno con Mkhitaryan (grande Szczesny), due con Dzeko (palo scheggiato, ancora il portiere).

I sentieri di Veretout, le sponde di Dzeko, il duello Spinazzola-Kulusevski erano il piatto forte dell’ordalia. Non tirava mai, Madama: lo farà solo con Cristiano. Il risultato è stato introdotto da due rigori, netti, di braccio troppo largo per evocare le camicie di forza del mani-comio; Rabiot e Pellegrini gli autori, Veretout (con il brivido) e il marziano i cecchini.

Poi è successa una cosa romanzesca. Tutti all’attacco, gli juventini. Era il 46’ o giù di lì. E’ scattata una transizione tipo showtime dei Lakers di Magic Johnson, tre contro uno, da Dzeko a Mkhitaryan a Veretout, un penalty in movimento.

Pirlo è appena arrivato. Lasciamolo lavorare. Il problema è a centrocampo. Nessun regista, tutti registi è un bello slogan, ma McKennie e Rabiot sono portatori, non lanciatori. I languori di Pjanic facevano arrabbiare, i suoi assist no. Visto che il calcio è strano, la Roma si è colpevolmente sdraiata sulla superiorità numerica, Arthur (soprattutto) e Bentancur hanno animato una squadra che faceva del possesso palla uno sbadigliante feticcio. L’incornata del 2-2 appartiene al repertorio aereo di Cierre; il cross, splendido, alle montagne russe di Danilo.

Serve geometria, urge fantasia. Dybala, sì: al posto di Morata, per adesso. Dalle rose doriane alle spine romaniste il passaggio è stato brusco. E domenica c’è il Napoli.

Gente che viene, gente che va

Roberto Beccantini26 settembre 2020

Dal centro alla periferia del villaggio: Chiesa terzino mi mancava. Terzino vecchia maniera: addosso al fumo di Perisic. Non è stato per questo che l’Inter ha ribaltato la Fiorentina, ma il rilievo che mescola le epoche, il calcio del posto fisso con il calcio del ruolo mobile, meritava un cenno, un sorriso.

Partita pazza, come documenta l’altalena delle reti: 0-1, 2-1, 2-3, 4-3. Un gol, naturalmente, l’ha segnato anche Chiesa, la sola volta che ha superato la metà campo. Al di là degli episodi, che pure hanno scortato la trama – dal raddoppio masticato da Kouamé al colpo del k.o. ciccato da Vlahovic, dall’autogol di Ceccherini agli errori di Lukaku e alle parate di Dragowski – il detonatore, secondo me, è stata la gamma dei cambi, l’ossessione di Conte. Se ne possono fare cinque. Antonio ha inserito Hakimi, Sensi, Vidal, Sanchez (soprattutto), Nainggolan. Iachini, lui, ha tolto Bonaventura, Ribéry e Chiesa. Il francese, 37 anni suonati, aveva mandato in gol, alla lettera, Castrovilli e «persino» Chiesa. Immagino che la sua staffetta sia stata concordata (le altre, non so). Mancava poco, ma ormai l’Inter voleva dimostrare a tutti i costi, la sera in cui assai di rado era stata la più brava, di essere almeno la più forte. E ci è riuscita.

Con Lautaro in viola, chissà come sarebbe andata, visto lo champagne stappato da Ribéry. Male Kolarov nella difesa a tre orfana della bussola De Vrij. Molti i contropiede su un fronte e sull’altro, alcuni letali, e dal momento che eupalla adora i paradossi, ancora una volta ha deciso Danilo D’Ambrosio, uno di quei giocatori che io chiamo «cognomi» e non «nomi». La parabola di Sanchez era al bacio, e l’esco-non esco del portiere una docile guancia, ma lì c’era questo ragazzone di 32 anni che non è tutto, ma un po’ di tutto: e, sapendolo, sa nascondere i limiti e moltiplicare le risorse.

Detective scatenati

Roberto Beccantini20 settembre 2020

Quando un allenatore debutta, diventiamo tutti detective alla caccia di un pelo, di una goccia di sangue, di un’impronta per poter risalire, al ritmo forsennato delle fiction americane, alla sua «mano». E dal momento che il debuttante era Andrea Pirlo, e il risultato è stato Juventus tre Sampdoria zero, vi lascio immaginare l’enfasi, i superlativi, i titoloni.

Calma. A Pirlo piace il recupero palla veloce: non sarà la scoperta dell’America, ma un’idea sì, lo è. Penso a Ramsey: sembrava una mezzala «normale», proprio lui, il fantasma dell’opera. Mastino dello Schalke, McKennie ringhiava sull’uscio di Rabiot, insospettabile padrone di casa. La difesa a tre e mezzo, con il ritorno di Chiellini, era una polizza psicologica: verranno avversari più tosti e allora tireremo le somme.

Bonucci, con un guerriero vicino, può dedicarsi al ruolo che più sente: il libero lanciatore. E i terzini? Le sliding doors di De Sciglio (rifiutato?) e Pellegrini (sacrificato?) hanno spinto Andrea a sguinzagliare Frabotta: diligente, puntuale, ancorché un po’ «retro» (nel senso che la passava sempre indietro: non così in avvio di ripresa).

Detto che la Samp di Ranieri poco ha combinato sia con il saio del primo tempo (4-5-1) sia con la mini-gonna del secondo (Ramirez e Quagliarella), Kulusevski ha segnato alla Ronnie O’Sullivan, il mago dello snooker, Bonucci in mischia, fra sgorbi assortiti, e Cristiano di rasoio, dopo essersene mangiati non meno di tre (traversa compresa).

In assenza di Dybala e del centravanti, tutto è filato liscio perché ai rivali la Juventus non ha concesso che briciole. Difendeva di squadra e attaccava a sciami. Cuadrado stringeva spesso, Danilo presidiava i valichi. I maniaci già cercano le differenze con Sarri. Maniaci, appunto.